domenica 17 aprile 2011

LICATA - Il Racconto "AQUILE & PIPISTRELLI" letto nel Circolo Culturale PIAZZA PROGRESSO 16 Aprile 2011




  Aquile & Pipistrelli


Favola breve dedicata a un vecchio saggio che tentò di far volare la sua città.






Ernesto Licata Sindaco di una primavera interrotta
(Nella foto ci sono anch'io...all'epoca Assessore di quella Giunta)



Il tenebroso Pipistrello prenderà il posto della maestosa Aquila Reale?
(Disegno di Libero Traina)




C’era una volta, affacciata sul Mediterraneo, una bellissima città guardata con ammirazione, ed anche un po’ d’invidia, dagli abitanti dei paesi vicini.
LICATA . Primo sole alla Poliscia
(Foto E. Arnone)
Le invidiavano il clima mite, le spiagge dorate, le suggestive scogliere, il porto, accogliente e sicuro. 
E poi l’anello di verdi colline di mandorli ed ulivi che, amorevolmente cingevano la ricca piana.
LICATA . Primo sole alla Poliscia
(Foto E. Arnone)
Ed anche le larghe strade, con ai  lati  palazzi sontuosi, antichi conventi , monumentali chiese.  
E sullie colline il massiccio  castello e le splendide ville liberty. 
Tutte bellezze, ancora lì a testimoniare un   importante passato.


Licata - Villa Urso - Liberty sul terrazzo di Monserrato
(Foto di E. Arnone)


Eppure, nonostante la generosità della natura, gli abitanti di quella città erano stati incapaci di utilizzare le risorse di cui disponevano e, a parte qualche fortunato, vivevano in condizioni assai precarie.
Come per un malefico sortilegio, ormai da tempo immemorabile, la città si era quasi fermata.
E così, mentre gli abitanti dei paesi vicini si rimboccavano le maniche, rendendo le comunità più attraenti e vivibili, gli apatici cittadini della “nostra”  parevano immobili.
A detta dei più anziani, e quindi dei più saggi, compivano anzi preoccupanti passi indietro, lasciando deteriorare quanto avevano ereditato dagli antenati.
Nonostante l’evidente decadimento della città, quegli strani abitanti di una cosa ancora riuscivano ad andare fieri:
lo stemma della città.
Una maestosa aquila sveva al volo abbassato.


Distintivo d’onore concesso dal re quale città demaniale.
Ne erano talmente orgogliosi da desiderarne una in carne ed ossa, per poterla  ammirare e mostrare a tutti come testimonianza vivente del loro passato.
Naturalmente fantasticavano, consapevoli che le aquile erano una rarità persino sulle Alpi.
Tuttavia molti abitanti coltivavano questa illusoria speranza trascorrendo gran parte delle loro le oziose, e spesso noiose giornate, scrutando il cielo a testa in su, nella speranza di scorgerne una.
Con il tempo, questo strano desiderio, si trasformò in una vera e propria ossessione.
....un aquila in "carne ed ossa"....
Bastava che qualcuno sentisse uno sbattere d’ali e subito si formavano capannelli di curiosi pronti a giurare di aver visto qualcosa sparire velocemente dietro la collina, oppure tra le nuvole basse all’orizzonte.
Subito, nascevano lunghe ed estenuanti discussioni.
Discussioni che finivano quando arrivava qualcuno un po’ più smaliziato e disincantato, che, brutalmente e senza tanti fronzoli, li riportava con gli occhi e, soprattutto, con i piedi, per terra.
Passarono tanti anni, però, senza nessun significativo avvistamento.
Cominciarono a notare, invece, e con un po' di diffidenza, un fenomeno per essi nuovo.
Una moltitudine di pipistrelli, al calar di ogni sera, si contendeva il cielo, intrecciando confusamente il volo alla ricerca di cibo.
Stormi di pipistrelli
 Accadeva, che la città dell’aquila reale, giorno dopo giorno, diventasse sempre più dominio assoluto degli inquietanti pipistrelli…
I cittadini, perplessi, presero a interrogarsi seriamente su queste nuove presenze che non riuscivano a spiegarsi. 
 Per i più strafottenti tra loro,   andavano bene anche i pipistrelli, anche se, per la verità, pochi arrischiavano seriamente un confronto con le aquile.
Tanto evidentemente diverse sotto qualsiasi punto di vista. Così piccoli, neri, sgraziati, i primi, che volavano basso zigzagando tra le tenebre della notte e tanto belle, maestose, eleganti, solari, amanti degli spazi ampi e delle grandi altezze le seconde...n


Vi apparirà incredibile...


Eppure nonostante le differenze fra le due specie fossero innegabili ed evidenti, tra l'apatica gente di quella città, anche i pipistrelli trovarono degli estimatori.
Questi argomentavano le loro ragioni sostenendo la tesi che, mentre i pipistrelli erano una realtà concreta, le aquile nessuno le aveva mai viste.
E che forse mai sarebbe accaduto di vederle, tanto apparivano lontane e  irraggiungibili.
Passarono i giorni. 
La gente si rassegnava sempre più all’idea di essere dominata da quei piccoli mammiferi neri.
I quali non contenti di fare i loro comodi soltanto nel buio della notte, cominciavano a cercare altri spazi diurni per affernare il loro assoluto dominio.
Per questo nel paese cominciò a serpeggiare  una voce messa in giro ad arte.
Questa voce diceva che gli  Amministratori della Città avrebbero cancellato  per sempre dallo stemma  la tanto amata Aquila Reale, per far posto al tenebroso ma più concreto pipistrello.
Tutto questo, però,  apparve francamente eccessivo perfino ai tanti buoni padri di famiglia che, per una volta, decisero di non starsene  con le mani in mano.
 Dovevano fare qualcosa. 
Anche se non sapevano esattamente cosa.
Cominciarono con l' incontrarsi nella piazza del paese e a parlarne tra loro  come mai avevano fatto. 
Capirono che il problema li riguardava tutti, e che l'avrebbero potuto risolvere solo stando insieme.
 Questi furonoi primi passi di un lungo percorso che, anche se inconsapevolmente, li avrebbe messi sulla via per diventare cittadini veri.
Nelle larghe strade, nelle piazze, nei carrugi della Marina le discussioni aumentarono d'intensità e ciascuno potè dire la sua.
Dai tanti capannelli venivano fuori mille nuove idee, a volte originali e curiose, spesso davvero strampalate. 
Tuttavia l'accettare di confrontarsi, lo sforzarsi di ragionare per il bene comune cominciò a gratificare molti di loro.
Indifferenza ed egoismi furono messi finalmente da parte.Si cominciò a pensare ad un'azione comune.
Scoprirono insomma la partecipazione. I
Finalmente quella città restìa a porsi problemi, grigia e sonnacchiosa, dava segnali di una vitalità nuova. 
Le discussioni, però, per quanto appassionate, non approdarono a niente.
Fu allora che, per uscire dall’immobilismo, emerse la proposta di chiedere consiglio ad uno degli anziani della città, un vecchio professore in pensione, che godeva fama di saggio.
Il vecchio ricevette nella sua abitazione una delegazione dei suoi compaesani.
Li ascoltò con attenzione, e dopo aver riflettuto, offrì la sua esperienza ed il suo sapere al servizio della città.
Non persero davvero tempo.
Sull’onda dell’entusiasmo, l’indomani allestirono un enorme palco al centro della piazza principale.
Dell’evento informarono tutti, porta per porta.
Tutti avrebbero dovuto ascoltare le parole  della guida che si erano liberamente scelti.
Il vecchio professore salì lentamente i gradini del palco.
L' insolita moltitudine che lo attendeva in silenzio, lo stupì non poco, ma anche un po' lo inorgoglì. 
La folla attende le parole del vecchio saggio.
Salutò con un cenno della mano, si schiarì la gola e cominciò a parlare.
“Amici concittadini, ho sempre amato questa città, anche se le opportunità per dimostrarlo sono state davvero rare perché da tempo immemorabile ormai, la politica  tiene lontane le persone oneste.
Oggi mi commuove vedervi qui per interrogarvi sul vostro futuro.
E’ questo il segno di una presa di coscienza nuova, di una maturità che ci porterà a cambiare, a crescere”.
La folla interruppe il professore con un applauso lungo e sentito, poi ammutolì.
Sapeva che da quella bocca non sarebbero uscite solo parole di complimento ma anche verità scomode per ciascuno di loro.
“Troppo spesso, - riprese il professore- per faciloneria o per pigrizia, abbiamo delegato ad altri la soluzione dei nostri problemi.
Ci siamo affidati a persone senza scrupoli, che hanno curato soltanto i loro interessi personali.
Abbiamo considerato i beni comuni,di tutti noi, come proprietà di nessuno,abbandonandoli al loro destino,  lasciandoli deteriorare dall’incuria e dal tempo.
Indifferenti, passivi. 
Senza mai un briciolo d’indignazione, abbiamo lasciato fare.
E’ tempo di risvegliare le nostre coscienze, di ribellarci a chi ci opprime   approfittando della nostra indifferenza e del nostro disinteresse.
Oggi finalmente riusciamo a parlarci, a chiederci cosa possiamo fare.
Io vi dico che possiamo cambiare.
E che il primo vero cambiamento deve cominciare da noi stessi.
Amando innanzitutto la nostra città.
 La nostra casa grande, dove cresceranno i nostri figli.
 Ed è pensando a loro che dobbiamo renderla più bella, più pulita, più accogliente.
Licata - Collina di Monserrato
(Foto di E. Arnone)
Abbiamo ricchezze invidiateci da tutti e che antenati avveduti ci hanno tramandato.
 La natura, davvero generosa , ci ha regalato paesaggi meravigliosi, certamente oltre i nostri meriti.
Proviamo a diventare cittadini rispettosi della legalità e delle regole di convivenza civile!
Per questo ci serve un cambio di mentalità deciso, cominciando magari   dalle piccole cose. 
Per esempio chiamando ladro chi si arrichisce alle nostre spalle, e non considerarlo uno “sperto”, uno che ci ha saputo fare”.
Dobbiamo essere onesti, con tutti, ma soprattutto con noi stessi, rinunciando, quando occorre, a qualche minimo , immediato vantaggio personale. 
Ci sarà ripagato non una ma  cento volte tanto”.
Il vecchio s’interruppe. 
Qualcuno gli porse un bicchiere d’acqua che subito sorseggiò.
La folla, sempre più attenta e numerosa, borbottava commenti, si dava di gomito, annuiva con il capo.
L’oratore riprese a parlare:
Anziani a Licata

(foto di E. Arnone)
“Non restiamo ancora inerti, a braccia conserte, con il naso all’insù a scrutare il cielo alla ricerca di un’aquila immaginaria.
Le soluzioni dei nostri problemi non ci arriveranno certo dal cielo.
E’ tra noi che dobbiamo discuterne, a costo di litigare per trovarle. 
Come è tra noi che dobbiamo cercare quell’aquila che ci riporterà in volo verso vette più dignitose.
Abbandoniamo l’egoismo dei miseri interessi personali, che ci tappano gli occhi, e c'impediscono di vedere  gli stormi famelici che rapinano la nostra città, ne rallentano la crescita e ne bloccano le potenzialità.
Con la nostra complice e muta indifferenza.
Solo migliorandoci riusciremo a cacciare queste creature della notte prive di cultura, di progettualità e di fantasia.
Ci hanno governato trascinandoci sempre più in basso, là dove per chiari limiti può arrivare la loro capacità di volo.
Non ci porteremo questa responsabilità per altro tempo.
 Non faremo pagare ai nostri figli il prezzo delle nostre colpe.
La consapevolezza di aver toccato il fondo ci deve aprire ad una speranza nuova.
No,ad ogni costo impediremo ai pipistrelli di occupare anche lo stemma della nostra città!


Il vecchio saggio si fermò.


Poi riprese con la voce un po’ stanca, ma ferma.
“L’aquila dovrà rappresentare il nostro più importante riferimento. 
Perché il suo simbolo rappresenta un valore inestimabile; significa infatti una comune identità, l’orgoglio e la fierezza di un’appartenenza.
E noi, seguendo il suo esempio, dovremo provare a volare sempre più in alto alla ricerca di spazi di libertà sempre più ampi.
Per fare questo ci occorrono ali nuove, robuste, che dovremo saperci costruire onestamente e nel rispetto delle idee di tutti.
Dobbiamo realizzare una politica vera, riorganizzando i partiti, che  debbono cessare di essere comitati elettorali, per poter  riprendere il loro ruolo di elaborazione di idee e progetti al servizio della collettività.
I Partiti devono tornare ad essere luoghi dove incontrarci e discutere,  luoghi di approfondimento dei temi sociali, di formazione politica e culturale dei quadri dirigenti.
Da tempo ciò non avviene, con il pessimo risultato di essere governati da Amministratori improvvisati, incolti, inadeguati a darci quelle  ali che ci sono indispensabili per volare.
Oggi i nostri Amministratori sono Pipistrelli... soltanto voraci pipistrelli che volano basso nelle tenebre della notte alla ricerca  frenetica di insetti da mangiare.
Tocca ora a noi rimboccarci le maniche lavorando sodo, migliorandoci l’un l’altro.
Ed un giorno, senza rendercene conto, ci accorgeremo che stiamo volando”.
La gente applaudì a lungo commossa. 
Il vecchio ringraziò, scese dal palco, strinse tante mani.
Poi, come tutti, fece ritorno a casa.
Ma non tutti, quella notte, riuscirono a dormire.
Ripensavano alle parole del vecchio.
Si interrogavano sulle loro colpe, si chiedevano come fossero stati così a lungo sudditi distratti, e come avessero potuto lasciare andare alla malora la loro città.
Giurarono che sarebbero stati capaci di cambiare.


Ed in effetti tennero fede a quel giuramento, perché riuscirono a vincere quella prima, difficile battaglia.


Da allora sono passati tanti anni e quella bellissima città del Mediterraneo, continua ancora a mostrare nel suo stemma la superba Aquila Sveva. 
Anzi, nelle stanze del Palazzo ne appaiono diverse e tutte incredibilmente affascinanti.

Aquila Sveva al volo abbassato



La città, però, ha ripreso la sua sonnolenza, e vive una nuova pericolosa rassegnazione.
 Mentre i Pipistrelli, sono ancora lì, ed ineffabili continuano nel loro incontrastato dominio.
Per la verità alcuni cittadini di buona volontà, sicuramente ingenui ed un po’ illusi, cercano di opporsi a questo stato di cose e perseverano speranzosi nella loro sognante ricerca.
E un’aquila “reale” anche se piccola come un pipistrello, li farebbe felici.
Convinti – così dicono- che 
è sempre meglio essere governati da un’Aquila, 
anche se piccola come un pipistrello, 
che da un pipistrello 
improvvisamente 
diventato grande come un’Aquila.






Grazie per essere stati con me....
   Elio Arnone
Elio Arnone 





LICATA - PALAZZO DI CITTA' -Sede del Consiglio comunale.



1 commento:

  1. Mi permetto di proporvi questa mail privata perché la ritengo un omaggio appassionato ad Ernesto Licata, il vecchio saggio cui ho voluto dedicare la mia favola.
    Grazie Ezio.
    Ezio Sunkmanitu Tanka Avarello

    Aquile & Pipistrelli

    Carissimo Elio,
    ho visto ed ascoltato con particolare attenzione il tuo video-racconto e devo dirti che l'ho molto apprezzato, sinceramente, credimi.
    Bella la storia, ben riuscito l'uso della metafora, eccezionale e commovente (almeno per me) la presenza del prof. Ernesto Licata nella "parte" del vecchio saggio.

    Io, caro Elio, ho una particolare predilezione per la figura di "zio Ernesto"; ho iniziato a conoscerlo da adolescente quando da imberbe studentello ginnasiale frequentavo la casa del fratello Eugenio in quanto compagno di studi della nipote Sabrina. Tutti i pomeriggi a casa del fratello (per anni).... puoi immaginare quante occasioni di incontro abbia avuto!!!!
    Uomo affascinante per la naturale eleganza dei modi e di linguaggio, intellettuale fino, continuo stimolo di curiosità e di sapere, mai banale, mai saccente, insomma... un gigante.
    Io, piccolo, timido ed ancor più intimidito da così tanta statura sia fisica che morale, rimanevo letteralmente pietrificato e nel contempo abbagliato ma godevo nell'ascoltarlo.
    Un vero spettacolo!!!
    Comprendi bene quanto allora mi ritenessi fortunato e privilegiato.

    Sulla nostra "comunità", su ciò che lentamente ed inesorabilmente è diventata, preferirei stendere un velo pietoso e fermarmi qui. Troppo forte è il dolore, una sofferenza troppo grande da sopportare.

    Elio caro, spero vorrai perdonarmi se mi sono lasciato andare con queste confidenze ma mi hai dato una opportunità , per me così rara ed inusuale, di riaccendere la memoria e molto banalmente ne ho approfittato.

    Ti mando un forte abbraccio nella speranza di rivederti presto, genuino e sorridente come ti ricordo.
    Con stima ed affetto, Ezio A.

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