domenica 20 luglio 2014

Elio Arnone


Gaetano. Una storia nostrana

Gaetano: una storia nostrana

13 maggio 2010 alle ore 9.37
Mi è capitato di leggere un trafiletto sul “Venerdì” di Repubblica, a firma Michele Mirabella. 
L’autore riferiva di una storia raccontatagli da un suo collega giornalista e osservatore di costume. La vicenda riguardava un giovane soldato siciliano di nome Gaetano che, nelle trincee della prima guerra mondiale, serviva la Patria.
Come molti arruolati del tempo Gaetano aveva probabilmente risposto controvoglia alla chiamata alle armi. La Patria non so quanto la sentisse veramente sua. Giunto al fronte si arrabattò, con successo, ad imboscarsi una volta come furiere, un’altra come cuoco, infine come attendente. 
Felicemente dotato della furbizia tipica dei contadini siciliani riuscì per ben tre anni di guerra a non maneggiare una sola volta il fucile, che giaceva, placido e inerme, in un oscuro angolo. Quando scattava un’offensiva austriaca, Gaetano si rintanava tomo tomo, servendo, curando, cucinando. E aspettando fiducioso che la buriana passasse.
Un giorno, però, gli austriaci decisero di fare sul serio e scatenarono un’energica sortita per occupare la trincea italiana. I nostri soldati vacillarono paurosamente e nella tempesta di fuoco che si sviluppò un proiettile sibilò a pochi centimetri da Gaetano sfiorandogli l’elmetto.
Fu solo un attimo, “cristiano era e diavulo addiventò”. Scattò in piedi come una furia, si tolse l’elmo appena scalfito e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: “A ‘mmiaaaa???”.
Afferrò il fucile, uscì dall’insicuro riparo, e si avventò come una bestia contro i crucchi, sparando all’impazzata. I suoi commilitoni, infiammati, ne seguirono tosto l’esempio. Il contrattacco si dispiegò talmente imperioso da seminare il panico tra gli austriaci, fino a respingerli. Conclusa l’operazione, Gaetano, catamri catamri, tornò placato alle sue marmitte. C’è chi giura di averlo sentito bofonchiare in siculo: “A ‘mmia, chissu, un ‘mi l’avivanu a fari!”.
Da quell’eroico episodio, racconta qualcuno, forse favoleggiando, prese avvio la decisiva battaglia di Vittorio Veneto. Ma probabilmente è un’aggiunta per rendere più incisiva la storia di Gaetano.
Cercherò di spiegare perché ho voluto raccontare questa storiella e perché mi è piaciuta. 
Gaetano è siciliano, un siciliano come tanti, con pregi (pochi?) e difetti (tanti?). Come tutti noi. Anzi, non mi meraviglierei affatto che venisse perfino dall’area di Licata.
Perché Gaetano ha il nostro stesso carattere, un po’ anarcoide ed individualista, strutturalmente incapace di vivere una società per il bene collettivo. 
Proprio come noi. 
Sempre in difesa del nostro particolare – “addifenna u ‘tuu a tortu o dirittu” -, e pronti a reagire solo se personalmente colpiti nel nostro orgoglio o, soprattutto, nel nostro interesse.
Andiamo quasi sempre in ordine sparso, incapaci di riunirci e senza nessun senso di appartenenza. Non amiamo le regole, perché non ne possediamo il senso, incapaci di rinunciare a cedere un po’ della nostra libertà a vantaggio di tutti e delle regole stesse.
Perfino benevoli nel giudicare chi ha fatto fortuna al di fuori della legalità non considerandolo disonesto ma “ Unu ca cci seppa fari”.
“I siciliani – diceva Di Castro circa cinquecento anni fa - generalmente sono più astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per natura invidiosi, sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono farebbero se fossero al posto dei governanti”.
Mi sembra un quadro perfetto e di grande attualità, come se nel tempo, non fosse mutato nulla. E, se mi è consentita, da licatese, un’autocritica, ritengo che quel giudizio impietoso fotografi anche la nostra realtà di oggi.
Credo il degrado attuale della nostra città figlio del nostro modo di pensare, del nostro modo di essere. Oggi nessun cittadino si aspetta che la politica risolva i problemi di tutti. Al contrario, ciascuno si aspetta di veder risolto il proprio problema personale. 
Le classi dirigenti non hanno fatto nulla per accrescere una maggiore consapevolezza del voto.
Politici senza scrupoli, fin dalle prime consultazioni repubblicane –li ricordiamo- pur di raggiungere i propri obbiettivi hanno falsato il loro rapporto con gli elettori offrendo “cartate di pasta” in cambio di voti, instaurando di fatto un rapporto di scambio, arricchito dalle abituali vane promesse. 
Un rapporto in cui ciascuno cerca il proprio tornaconto, senza spirito di servizio, privo di qualsiasi generosità. Che porta il cittadino a scegliere sempre il cavallo previsto come “vincente”, non quello “migliore” per ideologia, capacità, progettualità, onestà. 
Va da sé che la classe dirigente emersa nel tempo da questa selezione risulta molto spesso tanto modesta quanto rapace e non può che produrre danni devastanti sui territori che amministra. 
Non è diverso il discorso a livello locale. Continua, infatti, da anni il declino culturale, politico, sociale ed economico della nostra città, in un’atmosfera di fatalistica rassegnazione collettiva. 
I pochi intellettuali della città da tempo si sono allontanati dalla politica attiva, convinti che “governare i licatesi più che difficile, sia del tutto inutile”. 
Questa assenza pesa molto sulla città. 
Si ripercuote pesantemente sulla qualità della politica, che scade sempre più ogni anno che passa, e lascia spazi immensi a maneggioni senza arte né parte, privi del minimo di cultura necessario per la gestione di una Città come la nostra.
Ma noi licatesi difettiamo spesso di autocritica, convinti di essere sempre più bravi degli altri e nessuno, tra noi, è disposto a riconoscere le maggiori qualità dell’altro. 
Incapaci di generosità pensiamo che dietro ogni gesto generoso ci sia un calcolo, un secondo fine.
La furbizia ci porta a pensare che non possano esistere magnanimità e nobiltà d’animo.
A tutti noi sarà capitato di ascoltare frasi come: “Pirchì,’cchi cciava chiddru superciu di mia?”. Dette contro ogni evidenza, ma che autorizzano i più rozzi ed incolti tra noi a proporsi come sindaco o consigliere comunale, anche se intimamente coscienti della loro incapacità a ricoprire quei ruoli.
Ad ogni elezione vediamo concorrere una miriade di aspiranti amministratori tutti pronti a gestire al meglio il bene comune. 
Ma se sono tutti davvero così bravi come si spiega che la città versi in condizioni così pietose? 
Mi viene in mente un passo de Il Gattopardo, quando Don Fabrizio, nel famoso discorso al piemontese Chevalley, dice:
“I siciliani/I licatesi non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria;
… sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla”.
Oggi, come allora, attendiamo il NULLA. 
Abbiamo un sindaco costretto dalla giustizia a non mettere piede nella città, siamo rimasti senza il Consiglio comunale, dimessosi per scelta politica, una giunta raccogliticcia, completata con assessori presi dai paesi vicini, per il rifiuto di molti di farne parte.
Tutto ciò è davanti ai nostri occhi. Da noi non è mai attecchito, forte e duraturo, il germe dell’indignazione responsabile e consapevole. Non ci si indigna più di niente. Assistiamo impotenti allo sfacelo come se non ci riguardasse. 
A livello regionale le cose non vanno certo meglio. Nel giro di poco tempo un ex Presidente della Regione è stato condannato per reati aberranti e quello attualmente in carica è ora sotto inchiesta con le stesse imputazioni, o quasi.
Anomalie licatesi? Anomalie siciliane? Una cosa è certa. Perdurando queste condizioni né Licata né la Sicilia cambieranno il loro stato. Per trovare una via d’uscita, ciascuno di noi dovrà sforzarsi di iniziare un personale percorso di cambiamento.
Elio Arnone

mercoledì 16 gennaio 2013

A Licata c''era una Volta il "CORALLO"...




Un lontano pomeriggio d'agosto a LICATA


C'era una volta il CORALLO...
Angelo Vecchio - Carmela Puccio - Elio Arnone

di Elio Arnone





         E’ un interminabile pomeriggio d’agosto di questa torrida estate. 
        Pigramente seduto con altri amici sto oziando in uno dei tanti bar del Centro.
         L’afa soffocante fiacca il fisico ed anche i pensieri.
Qualsiasi posto sembra andarmi stretto.
         Non mi va di scrivere oggi. 
         Anche se il Direttore mi ha sollecitato a preparare qualcosa.
        Mi sento senza idee e non mi alletta per nulla sedermi alla tastiera del computer. 
        Per scrivere cosa, poi?



         Meglio rimanere al bar, a parlare del più e del meno davanti ad una granita di limone da finire in fretta prima che si sciolga.          Si respira a fatica.  
         Per fortuna ogni tanto un delicato refolo di vento percorre le larghe strade movimentando l’aria stagnante.
         Scene frequenti nelle piccole città del sud nelle lunghe e polverose giornate di estati afose. 
         Mi tornano in mente le scene dei basilischi del film di Lina Wertmuller, quarant’anni dopo.

        Tra una chiacchiera e l’altra, improvvisamente, e non so come, mi arriva tra le mani il programma dell’Estate licatese stampato dall’Amministrazione comunale.
        Lo scorro senza grande interesse per averne già sentito parlare (e nemmeno troppo bene) per la povertà delle iniziative dovuta all'annosa carenza di fondi.
Rimango tuttavia colpito da una data: il 23 Agosto. 
        Leggo che quella sera presso il chiostro S. Francesco ci sarà un concerto intitolato “Frammenti di un discorso amoroso”. “Quinto canto”.



Penso immediatamente a Paolo e Francesca, gli amanti dannati uccisi da Gianciotto. 
La cosa in verità mi incuriosisce.
Lascio frettolosamente la compagnia e vado ad informarmi presso la Biblioteca comunale per saperne di più.
Lì, impiegate gentili, mi parlano di quel concerto. Mi dicono che lo eseguono un gruppo di cinque elementi di formazione classica jazzistica che eseguiranno canzoni italiane d’autore.
         Tra gli autori citano firme prestigiose come Paolo Conte e Battisti, Paoli e Benigni, Venditti e De Gregori, PFM ed Avion Travel e poi Vasco Rossi, Concato, Pino Daniele. 
         Mi spiegano che tutti i brani richiamano luoghi dell’amore come la dichiarazione, il disagio, l’incontro, l’attesa, la gelosia, la tenerezza ed altro. 
         E che ciascun brano è introdotto da brevi stralci di poesie d’amore. Tra i poeti: Hikmet, Pavese, Prevert, Salinas, Neruda ed altri.
         Questa impostazione mi piace subito perché mi ricorda un mio progetto (mai realizzato) di tanti anni fa, e che ancora ricordo con qualche nostalgia. E che forse è tuttora conservato in qualche cassetto. 
         Si intitolava “Poesie e canzoni contro la guerra”. 
 Tra le poesie che avevo scelto ce n’erano di Quasimodo, di Ungaretti, Brecht, Edgar Lee Masters e di molti altri ancora. 
         E poi le musiche dei Nomadi, Guccini, Lusini, di Bob Dylan e Barry MacGuire.
        Ho chiesto notizie sugli interpreti.
        Ho saputo che vengono da Palermo, sono giovani e ciascuno di loro ha già alle spalle un invidiabile curriculum.
 Mi sono fatto dire i nomi.
           Eleonora Militello –voce cantante e recitante, Larry Nash – sax tenore e flauto, Michele Cirincione – contrabbasso e basso elettrico, Fabrizio Pezzino – batteria e percussioni, e Celestino Roberto Bellavia – pianoforte.
        Sentendo quest’ultimo nome mi sono ricordato di un Celestino Bellavia da me conosciuto tanti anni fa. 
Ho chiesto se fosse un parente. “Sì, - mi hanno risposto- è il nipote”.
Ho fatto di colpo un salto nel passato, intorno agli anni settanta.
Licata - Recita al CineTeatro Corallo
         Ho rivisto il Cine Teatro Corallo con le pareti brillanti di vetrini colorati e luccicanti, il palcoscenico lungo e stretto, il tetto scorrevole che, sul far della sera, si apriva per rinfrescare l’aria. 
        Ho ricordato improvvisamente le giornate passate insieme a coetanei squattrinati a provare e riprovare battute, ad inventare gags preparando spettacoli che forse non avremmo mai fatto.
        Ci divertivamo con poco allora. Scherzavamo e ridevamo di niente in magazzini semi diroccati e poco illuminati.

Licata - Sul palco del "CORALLO"  Ninni La Marca, il Cane Cantante ed Elio Arnone
         Spesso era quello il nostro modo di passare il tempo mettendo a prova le nostre intelligenze, la nostra creatività. 
         Il tutto per due o tre ore di spettacolo da bruciare su quello stretto palcoscenico.
        Nella città si creava attesa attorno a queste attività, soprattutto per l’avvenimento più importante di quegli anni: l’appuntamento con il Trofeo canoro “Città di Licata”.
      Il grande ”Evento” era quello, quello l’appuntamento imperdibile con il pubblico.

Guglielmo La Marca ed il Maestro Celestino Bellavia
            L’organizzatore,
Guglielmo La Marca, ci lavorava a lungo, anche nelle pause di lavoro nella Biblioteca del paese, 
con tutto l'amore che si può avere per una propria creatura, e l'orgoglio di vederla crescere in bellezza, anno dopo anno.
         Come il Trofeo, che aveva ideato e che seguiva passo passo, affettuosamente, diventando per qualche tempo il papà di tutti: cantanti, musicisti e tecnici. 
         Ma se Guglielmo La Marca era l’anima organizzativa dei Trofei, Celestino Bellavia ne era l’anima musicale. 
         Anche per me, come per tutti, era una persona seria e competente, dall’aspetto un po’ burbero, che incuteva soggezione. 
        La differenza di età non mi consentiva troppa confidenza, ma avevo imparato ad apprezzarlo perché conoscevo la sua storia.
        Avevo saputo che veniva da Grotte, che ad otto anni già suonava il flicornino soprano.
       A diciotto aveva casualmente iniziato a suonare per la banda di Licata, e che da allora il suo rapporto con Licata era diventato inscindibile.
        Collaborò con il maestro Cataldo Curri ed ebbe l’idea di cantare in piazza il giorno del venerdì Santo.

Banda di Licata al tempo del Maestro Curri
         Molti ricordano ancora con nostalgia l’esibizione come soprano di una giovanissima Antonietta Peritore, della signora Civita Romano Peritore, del tenore Nino Dainotto e di una trentina di giovani coristi.
        Fin dalla nascita del Trofeo, il maestro Bellavia si occupò della preparazione dei cantanti, quasi sempre completamente digiuni di musica.
       Aveva molta pazienza, soprattutto con i piccoli della sezione “Zecchino d’oro” che lo seguivano disciplinatamente e con molta attenzione.

Premiazione
 Si riconoscono il Maestro Bellavia ed i presentatori Anna ed Elio Arnone
       Quanti ragazzi grazie a lui avevano imparato a suonare la chitarra, le tastiere, il pianoforte, la fisarmonica, la batteria, le tastiere e tutti gli altri strumenti a fiato!
       Gli “esami” si sostenevano al Cine Teatro Corallo, sempre molto generoso con i bravi, a volte impietoso con gli stonati ed i timidi, spesso traditi dall’emozione.
           Mi vengono in mente i più bravi. 
           Tra i comici ricordo un brillante Gaetano Bonaffino, tra i complessi i “I Principi”, i “Ragazzi del fiume”, i “Wanted”. 
           Tra i componenti mi piace ricordare l’indimenticato Enzo Cammarata ed i fratelli La Marca, Ninni e Nicola. 
         Tra i cantanti ricordo Ciro Sebastianelli, che dal Corallo arrivò fino a Sanremo, poi Nuccio Biondi e Tano Lo Presti.


        Tra i giovanissimi dello Zecchino una bambina, tanto graziosa quanto simpatica e versatile, Nicoletta Bona ed un bambino predestinato come Alessio Vitali che ha continuato con la musica, diventando un apprezzato chitarrista. 
E tanti altri bravissimi di cui ho dimenticato i nomi.
          E poi Luigi Giglia, il tecnico che metteva tutti in condizione di fare bella figura. 
          A tutti loro sono legati alcuni fra i miei ricordi di un periodo felice, pieno di progetti e speranze, evocati oggi con grande nostalgia. 
          Molti amici di allora ci hanno lasciato da tempo. 
          Vorrei che sapessero che nei cuori di quanti li hanno conosciuti, conservano ancora un posticino particolare pieno d’affetto e riconoscenza.

           E’ scesa la sera.
           La prima frescura mi riporta improvvisamente alla realtà, mi fa dimenticare i ricordi disordinati di un tempo irripetibile di passioni sincere, di divertimenti ingenui.
           Mi chiedo come passino il loro tempo i giovani d’oggi, sazi di tutto. 
           Hanno a loro disposizione la tecnologia più avanzata, discoteche, motorini, capi griffati, soldi.
           Ma sono felici?

Non so giudicare. 
Questo è un altro mondo.
Lontano...

Grazie per essere stati con me...

Elio Arnone

martedì 23 ottobre 2012

Elio Arnone:“Introdurre un quorum elettorale per dare peso al non voto”


Elio Arnone:
“Introdurre un quorum elettorale per dare peso al non voto”


Intervista su Licatanet a cura di Gaetano Cellura 

Ottobre 2012

E.Arnone V.Sindaco 1987
L’astensionismo è il tema del momento stando ai sondaggi e agli umori dei cittadini: alcuni stanchi, altri proprio nauseati di un certo modo di fare politica. Stanchi di vedere ancora nella prossima competizione elettorale i responsabili del declino economico della Sicilia. Un degno passato nella politica (è stato vicesindaco della città, consigliere provinciale e assessore nella giunta progressista di Ernesto Licata), l’amico Elio Arnone ha accettato questa conversazione con la redazione di Licata Net premettendo di esprimere le proprie opinioni da privato cittadino. Parlare è un diritto. Soprattutto quando si hanno, da privati cittadini, cose di grande interesse pubblico da proporre. Elio è anche autore di racconti e poesie e del brillante video racconto Aquile e Pipistrelli visibile su http://www.youtube.com/watch?v=4WxEqzm8zrw
Elio, potrebbe verificarsi un forte astensionismo alle Regionali. In una misura superiore al 50 per cento. Le elezioni sarebbero valide lo stesso, ma non credi che la democrazia ne uscirebbe mortificata?
Attendersi per le prossime elezioni un forte astensionismo è nelle cose, ed  i recenti scandali nella Regione Lazio ed in Lombardia hanno ancora di più ingrossato le fila di coloro che già avevano deciso di disertare le urne. Naturalmente non sono in grado di prevederne la percentuale. Posso però azzardare che il primo partito che verrà fuori dalle prossime elezioni sarà certamente quello del “non voto”. Su questa previsione inviterei a riflettere fin da ora.  Più alto risulterà essere e più dovremo interrogarci sull’offerta di programmi e candidati che in questi giorni viene proposta alla nostra valutazione. Fino ad oggi, anche se si recasse alle urne la metà più uno degli aventi diritto al voto, eleggeremmo comunque i novanta deputati per il nostro Parlamento regionale. La volontà espressa da quella metà più uno che non vota, magari perché disgustata da un’offerta politica scadente, non conterebbe assolutamente nulla.  Se è vero che in democrazia “ci si conta” non è del tutto fuori luogo parlare di una sua mortificazione.
Uno strumento di democrazia come il referendum presuppone, per essere valido, che sia superata la soglia di partecipazione del 50 per cento. Non sarebbe giusto che questa regola valesse anche per le elezioni?
Credo che questa possa essere una strada percorribile. Sono sempre stato contrario alquorum che la Costituzione prevede per i referendum, innanzitutto perché riguardano una legge specifica e perché esclusivamente abrogativi. Per me dovrebbero vincere i sì o i no indipendentemente dalle percentuali raggiunte poiché  ritengo che chi non si reca alle urne per esprimere la propria volontà in realtà deleghi chi ci va a scegliere anche per lui. In questo modo si vanificherebbero gli inviti poco seri di alcuni politici a disertare le urne “andando a mare” quando sono contrari ad abrogare leggi di loro gradimento. Per quanto riguarda le varie consultazioni elettorali mi farebbe invece piacere venisse introdotto un quorum, con percentuale da stabilire. Il mancato raggiungimento di tale quorum annullerebbe quella consultazione, obbligando la politica a cambiare tutti i candidati e a modificare i loro programmi. In questo si favorirebbe una  maggiore attenzione dei partiti nella formazione delle liste che da tempo con preoccupante disinvoltura non esitano a candidare inquisiti, condannati e voltagabbana privi di scrupoli.  Beh, questo è quello che penso. Poi non so se  sia meritevole di approfondimento, non essendo io un tecnico. Di certo, comunque c’è che  anche il voto di protesta – il “non voto”- avrebbe un proprio peso.
Concordi dunque con il fatto che l’astensionismo, tra le altre cose, e senza tuttavia volerne fare l’elogio, sia per gli elettori un modo di dire ai partiti e a chi li dirige: i candidati proposti non riscuotono la nostra stima, la nostra fiducia, e allora cambiateli, presentatene altri?
È esattamente questo il mio pensiero. Un rifiuto netto degli elettori ad una classe politica spesso impresentabile potrebbe accelerare i processi di ricambio generazionale che gran parte della nostra società ritiene non rinviabile.
Nonostante i partiti, caro Elio, facciano finta di non vedere e di non sentire, pensi si possa fare nella società una battaglia di idee per introdurre, anche nelle competizioni elettorali, lo stesso principio valido per il referendum? Oppure dobbiamo rassegnarci al fatto di essere governati, di fronte a una politica che non si rinnova, dalla volontà della “maggioranza di una minoranza”, quella cioè che partecipa al voto?
Penso che i partiti non possano continuare in eterno a fare finta di niente. Questa Italia dei vecchi dovrà decidersi a lasciare il passo ai tanti giovani che vogliono cambiare. Ed i partiti dovranno  farlo per primi se vogliono  riconquistare una  credibilità perduta ed esercitare  seriamente la loro funzione al servizio del Paese.   Suppongo che non sarà affatto semplice riaprire un dialogo con i cittadini dopo anni di sacrifici imposti da una politica gozzovigliante, e dopo un ventennio di scandali e di leggi vergognose, di intrallazzi e di illegalità diffuse. La realtà della Nazione è ben rappresentata dalle  cifre dell’evasione, della corruzione, delle attività in “nero”; dall’incredibile numero dei falsi ciechi, dei falsi invalidi, dalla presenza condizionante delle varie mafie sul territorio nazionale. Cifre che non hanno uguali in Europa. Speriamo che qualche buona notizia ci arrivi dal vicino test elettorale. Sarà ancora la Sicilia, come spesso è avvenuto nella storia d’Italia, ad essere laboratorio per nuove sperimentazioni. Non mi faccio soverchie illusioni per cambiamenti profondi. Credo però che dopo Drago, Provenzano, Cuffaro e Lombardo sia davvero difficile fare peggio.

Elio Arnone 1997 - Assessore giunta Ernesto Licata