mercoledì 24 novembre 2010

Le preocccupazioni di Silvio:
le mani di Venere ed il sesso di Marte.




Faustina- Venere e Marco Aurelio-Marte



"L'uomo del Trapianto" ha colpito ancora....

       Vi propongo un articolo di Marcello Veneziani tratto da "Il Giornale" del 22Novembre 2010.
 Parla di un'altra stravaganza del nostro Premier, che ha certamente mille preoccupazioni per la testa, tanto da non trovare il tempo nè per potersela grattare, nè , tantomeno, perandare a difendersi davanti ai giudici.

            Tra i suoi pensier più ricorrenti ce n'è qualcuno che appare però soprattutto una fissazione...

             Ma lui è fatto così: a Cesare quel che è di Cesare e a Marte quel che é di Marte.

                        Cioè un bel pene ed un par de coj...


Marcello Veneziani a Licata con un suo lettore: E.Arnone


















Articolo di Marcello Veneziani


E Silvio «viveur» rende felici anche le statue


     Silvio Berlusconi ha compiuto il miracolo: ha restituito il pene a Marte e le mani a Venere.Non ci posso credere, a me questo Cavaliere qui mi fa impazzire; mi sorprende, mi diverte, mi sconcerta. Non so cosa pensare di questo restauro e del suo restauratore, se non tutto il bene e tutto il male possibili. Calma, ricomponiamoci, ricominciamo daccapo.
     Pensate cosa ha fatto. Ha visto due statue antiche mutilate, che ritraevano l’Imperatore filosofo Marco Aurelio e sua moglie Faustina innestati sui corpi degli dei greci, la dea dell’Amore e il dio della Guerra. Si è dispiaciuto a vederli menomati e li ha restituiti alla salute, ripristinando il pene, comprensivo di genitali, a Marte-Marco Aurelio e le mani a Venere-Faustina. Per rispettare l’antichità sono restauri reversibili, nel senso che gli innesti si possono asportare senza corpo ferire, restituendo le due statue alla loro menomazione: insomma il pene è estraibile come lo stereo delle auto e il tom tom, e così le mani si possono eliminare come i rasoi e i tergicristalli.
     Il gruppo marmoreo è stato affidato in prestito a Palazzo Chigi fino a fine legislatura. Dunque, se cade il governo cade anche il pene a Marte e le mani a Venere e anche loro come i deputati tornano a casa a mani vuote e senza un czz, diciamo in antico codice fiscale.
     Dunque nessuno stupro dell’arte, come invece scrivevano indignati alcuni osservatori, nessuna violenza storica; solo una licenza premio, una vacanza romana, umana troppo umana, per le due statue. Finché c’è lui al governo hanno le mani libere e possono fare quel che czz vogliono. Poi finirà la pacchia e torneranno mutilate nella loro triste antichità. C’è chi dice che c’è una ragione di quella duplice amputazione: Marte si era rotto il czz ad aspettare i romani sempre in ritardo sugli appuntamenti. E pure a Venere erano cascate le braccia. Ma è gossip.
     Questo remake delle statue ha un alto valore psicologico, spiega la personalità di Berlusconi più di ogni altra sofisticata analisi politica. Spiega i suoi difetti e le sue virtù, le sue fissazioni e la sua generosità.
     Per cominciare, Marte e Venere non sono casuali. Berlusconi è il fondatore del partito dell’amore ed è anche il primo, fervido aderente, come è noto. Ma allo stesso tempo nessuno come lui è in guerra permanente, suscita odii e conflitti in ogni campo, compresi quelli d’interesse; ed è un guerriero elettorale come pochi. Insomma Marte e Venere sono i suoi numi tutelari. Sorride a denti spiegati, perché ama piacere e compiacere; ma spesso mostra pure i denti in segno di guerra. Di lui i posteri diranno che ebbe una forte identità.
     Berlusconi nota le due statue mutilate e non sopporta vederle ridotte in quel modo. Vuole farle felici, vuole renderle umane, vuole dispensare miracolose ricrescite anche a loro. Non riuscendo a restituire la vista ai ciechi e la vita ai morti, Berlusconi restituisce allora il sesso e le mani alle statue. Imprenditore di felicità, rigetta la mano atroce dei secoli che corrode e sfigura, si ribella al tempo grande scultore, di cui scriveva Marguerite Yourcenar. Anche loro, le statue, hanno diritto al lifting e alla chirurgia plastica, devono tornare giovani; se fosse per lui farebbe anche alla statua di Napoleone il riportino e l’alzatacchi.
     Un mito. Di questa sua propensione è giusto dire due cose opposte: l’una negativa, che riduce anche l’antico a un presente astorico e televisivo, un po’ fiction un po’ cosmesi, attribuendo alle statue pulsioni erotiche e desideri di manualità; l’altra positiva, che vuol incidere nella storia e arginare il tempo, cura l’estetica, protegge dall’oltraggio dei secoli; e restaurando innova, fa quel che fece Marcel Duchamp alla Gioconda; è lui il vero futurista, altro che quel pesce lesso nella Camera ardente.
     In fondo i restauri integrativi li facevano pure i cardinali del passato barocco, e persino qualche Papa. Penso con un orrore misto a ebbrezza al ripristino di braccia, piedi, nasi e teste a miriadi di statue antiche. Un centro di riabilitazione spaventoso, accorrono da tutti i secoli... Sarebbe un modo, come dire?, popperiano, di renderle autentiche falsificandole. Fosse per lui, a Pompei riaprirebbero i lupanari e i massaggi.
     Ma è da sottolineare anche l’ideologia del restauro berlusconiano. Facciamo due paragoni per capirci. Il fascismo non osò toccare il passato romano, si limitò a restituirne gli spazi sacri (pensate ai fori imperiali); però osò replicarlo, innalzando statue, palazzi e obelischi che fossero la traduzione novecentesca e ducesca dell’Imperium. Ma se è per questo, anche gli americani imitarono la romanità, e in modo più kitsch.
     La democrazia cristiana invece, più umilmente, cercò di vestire gli ignudi e coprire le vergogne, ricorderete le statue coperte nei loro organi virili dalla pietosa mano andreottiana; il pudore cristiano e sacrestano che occulta l’onore pagano e virile della romanità. Andreotti copriva anche le vergogne dell’antichità. Berlusconi non ha la visione eroica e storica del fascismo, è moderno e commerciale. E, rispetto alla Dc, è vitaiolo, è un po’ marziale e tanto venereo, così compie il percorso inverso: non copre le pudenda ma le ripristina.
     Non so se la sera Marte riceva dal generoso sponsor anche un marmoreo Viagra di sostegno per godere del piacere divino di un’erezione scultorea. Sai, ha Venere al suo fianco, e ora può dargli pure una mano...
     Ecce cialis pro mentula tua et bonum bungam bungam...
     Se fossi freudiano vedrei in questo restauro anche un timore di castrazione in Berlusconi, il terrore dell’impotenza e delle mani tagliate o ammanettate. Comunque, quello è Berlusconi, il piacere di allargare la comitiva anche a Marte e Venere.
     Fini non si sarebbe neanche accorto delle due statue, Bossi vi avrebbe appeso le camicie verdi, Di Pietro le avrebbe usate da spaventapasseri nella sua campagna, Bersani le avrebbe esposte come manichini della Coop.
     Berlusconi no, ama la bellezza e non sopporta i trascurati.
     Signora Faustina, ora che ha le mani, mi consenta di donarle questo braccialetto, e lei Signor Marc’Aurelio, ora che ha gli attributi, le consiglio un posticino...
saluti....e su con la vita!!

MARCELLO VENEZIANI


LICATA - Palazzo di Città

domenica 21 novembre 2010

Montemignaio. Ricordo del Parco della Rimembranza.

Montemignaio, 1956

Parco della Rimembranza.



 






MONTEMIGNAIO - Monumento ai Caduti della Grande Guerra
 

          Il monumento era giù, in fondo alla striscia di uno stretto prato verde, limitato ai lati da alti e solenni cipressi.
          Era fatto di massi, via via più piccoli disposti a piramide. Tra i massi vi erano, conficcate sapientemente, bombe disinnescate lanciate dagli aerei nemici e rimaste inesplose.
          Appoggiata alla base una lapide con tutti i nomi dei caduti della Grande Guerra.
                
          Io, Fausto, Liseno, Andrea e Luigi, bambini in pantaloncini corti, ci arrampicavamo fino in cima, qualcuno a cavalcioni delle bombe, e guardavamo in basso.

E guardavamo il cielo.

Montemignaio - Via Pieve




Montemignaio - Castello al mattino

"Oh come grato occorre il tempo giovanil...!"


Anna, Beppina della Rita e Elio Arnone



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  20. 1960 Carabinieri a Montemignaio: Becheroni e Arnone

martedì 28 settembre 2010

Una domenica Particolare - LICATA 29 Settembre



Black out a Licata

Da alcune ore ormai Franco si rigirava tra le coperte senza riuscire a prendere sonno.
Neanche il bicarbonato che aveva preso precauzionalmente prima di coricarsi, era riuscito ad evitargli lo scombussolamento dello stomaco.
Un malessere fastidioso e frequente, che con gran senso dell’ironia, chiamava “effetto pizza del sabato sera”.
Non poteva passare il resto della notte penando in quel modo. Anche se controvoglia, doveva alzarsi e prepararsi una limonata calda.
Nella stanza immersa nel buio, distese il braccio cercando il pulsante dell’abat-jour vicino al letto. Lo schiacciò più volte. Inutilmente. La lampada rimaneva spenta.
Sarebbe andato in cucina al buio evitando di fare rumori per non svegliare Carmela e Sara che dormivano profondamente.
In fondo lo aveva già fatto altre volte.
Percorse lentamente il lungo corridoio, aprì piano la porta e, a tentoni, trovò il pulsante della luce che provò ad accendere, senza successo.
La casa era immersa nel buio più totale.
Per orientarsi camminava sfiorando con le mani la parete. Arrivato alla porta a vetri del balcone tirò su lentamente la cinghia della tapparella.
Vide le case intorno immerse nell’oscurità ed il cielo coperto di nuvole nere cariche di pioggia che velavano luna e stelle.
Pensò che le poche gocce cadute nella notte avessero causato l’ennesima interruzione gettando nel buio la città. Come sempre.
Muovendosi con cautela raggiunse i cassetti della cucina, ne rovesciò il contenuto sul ripiano e cercò a tastoni una candela.
Dalle sue mani passarono scatole di medicinali, mazzi di carte, ricambi della caffettiera ed altro ancora. Trovò di tutto, tranne quello che voleva.
Provò allora ad accendere il fornello del gas premendo il pulsante dell’accensione elettronica: niente. A parte il sibilo inquietante e l’odore sgradevole del gas, che si affrettò a richiudere.
Gli serviva un fiammifero, un accendino.
Ricordò di averne uno nella tasca della giacca. Bastava raggiungere l’attaccapanni per prenderlo.
Così fece, e tornato speditamente in cucina, accese il fornello del gas, che immediatamente rischiarò la stanza con la sua tremula luce azzurrognola.
Si preparò la limonata calda, la bevve velocemente, e tornò a letto speranzoso di riprendere subito sonno.
Alcune ore dopo il chiarore del mattino, filtrato dalle tapparelle non completamente chiuse, lo risvegliò dolcemente.
Verificò se la luce fosse tornata. Rimase deluso.
Mandò istintivamente a quel paese i dipendenti dell’Enel tutti fannulloni ed incapaci, insensibili ai problemi della gente.
Si preparò il caffè chiedendosi cosa avrebbero detto Carmela e Sara svegliandosi e conosciuta la situazione.
Lo preoccupava soprattutto Carmela perché si arrabbiava ad ogni minima contrarietà.
Decise di fare la doccia prima che le donne si svegliassero e monopolizzassero il bagno per le loro esigenze.
Aperto il rubinetto capì subito che né lo scaldabagno né l’autoclave potevano funzionare senza corrente.
Controllò allora gli alimenti conservati nel frigorifero. Il ghiaccio aveva iniziato a sciogliersi.
Un vero disastro. Una giornata iniziata male che prometteva di finire peggio.
Il cordless, desolatamente muto, non gli consentì d’informarsi con l'Enel, come avrebbe voluto.
Intanto Carmela e Sara si erano svegliate. Avevano capito al volo che anche per loro quella sarebbe stata una domenica difficile. Se la presero con il Sindaco, con l’Enel, con la città che andava sempre di più in malora.
Franco, che odiava le lamentele, con la scusa d’informarsi, uscì lesto di casa.
In Piazza Progresso incontrò molte persone che discutevano animatamente su quello che era diventato il fatto del giorno, nessuno però sapeva dare spiegazioni convincenti.
Alcuni avevano invano cercato le news con i cellulari ma i ponti radio avevano esaurito già le batterie d’emergenza e non funzionavano.
Allora Franco tornò in macchina. Fortunatamente in quel momento la radio comunicava notizie sulla mancanza di energia elettrica.
Seppe così che un albero caduto su una centrale in Svizzera aveva provocato un black out in tutt’Italia, che la Protezione civile cercava di limitare i disagi e l’Enel era impegnata per la ripresa del servizio, avvenuta già in alcune regioni.
Spiegazioni che non lo convinsero. Pensò piuttosto ad una nuova strategia del governo per riproporre la costruzione di centrali nucleari.
Tuttavia lo confortò aver saputo che presto la luce sarebbe tornata.
Tornò a casa e trovò tutto apparentemente normale: Carmela stava preparando il pranzo in cucina e Sara studiava nella sua cameretta.
Appena lo videro gli chiesero notizie che parvero tranquillizzarle.
Carmela pensò tra sé che forse la carne e gli altri cibi nel surgelatore si sarebbero salvati, e Sara che forse non avrebbe perso il suo programma televisivo preferito.
All’ora di pranzo si trovarono seduti a tavola come sempre. C’era però nell’aria qualcosa di diverso, un’insolita atmosfera di disagio.
Guardavano smarriti il televisore spento, che con il telegiornale a quell’ora la faceva da padrone , zittendo tutti.
Si dissero però che in fondo quella poteva essere l’occasione per parlarsi un po’ di più, discutere, scambiare opinioni.
Parlarono, infatti, ed a lungo. Anche se Sara era concentrata ad intercettare il minimo rumore che segnalasse il ritorno della corrente.
Ma il tempo trascorse senza che nulla accadesse.
Franco trovò in un cassetto una microscopica radiolina. L’aveva acquistata anni prima da un amico marocchino per ascoltare le partite di calcio della domenica. Pensava non funzionasse.
Inaspettatamente però un piccolo led rosso s’illuminò. Indossò una cuffia in tempo per sentire che i disagi stavano finendo e l’energia elettrica era stata ripristinata in tutto il territorio nazionale. Sicilia esclusa.
Naturalmente. Questa parola si poteva leggere nei visi rassegnati di tutta la famiglia.
Franco si ritirò nel suo studio, guardò con commiserazione il piccolo televisore ed il computer spenti, prese dallo scaffale un libro e lesse fino a quando non si addormentò.
Al risveglio, per scrupolo, provò inutilmente ad accendere la luce.
Riprovò allora con la radiolina che ad intervalli dava aggiornamenti sulla ripresa dei vari servizi. Nel resto d’Italia era tornata la normalità, anche se alcuni disagi rimanevano, solo per la Sicilia le previsioni dei tempi di ripristino andavano allungandosi di ora in ora.
Ciò lo fece imbestialire ed imprecare all’inefficienza della sua regione, sempre ultima in tutto.
Soprattutto non riusciva a spiegarsi come un albero caduto in Svizzera avesse mandato in tilt addirittura la sua regione, produttrice di energia elettrica oltre il proprio fabbisogno.
Decise tuttavia di rincuorare moglie e figlia che, per tutta risposta, gli mostrarono stizzite il bagno inutilizzabile, la lavastoviglie con i piatti da lavare, il frigo pieno di cibo che si stava perdendo.
Franco capì che sarebbe diventato il parafulmine di tutti quei guai, prese la macchina ed uscì nuovamente.
Di passaggio si fermò da sua mamma e assorbì pazientemente anche le lamentele. In cambio ne guadagnò alcune candele, utili se l’interruzione si fosse protratta ancora.
Poi gironzolò in macchina per la città. Guardava gli effetti di quella giornata anomala, con tanti bar chiusi ed i pochi rimasti aperti scarsamente illuminati da generatori elettrici o lampade a gas.
Cominciò a far buio mentre era in Via Principe di Napoli.
Trovò il tempo per ammirare gli ultimi raggi del sole che arrossavano la nuvolaglia leggera all’orizzonte, prima di tornare a casa, dove arrivò che era già buio.
Carmela aveva acceso una candela e l’aveva messa in alto, sulla cucina, mentre Sara, divertita, girava per le stanze buie, come faceva da piccola con il papà, inventando insieme viaggi misteriosi e affascinanti.
Ciò innervosì ancor più la mamma che strillò qualcosa, accennando alla sua pazienza che cominciava a venir meno.
Franco, un po’ scocciato, si rifugiò nel suo studio.
Accese una sigaretta, spalancò la finestra e, appoggiatosi sul davanzale cominciò a guardare nel buio di fronte a sé.
La mancanza di corrente aveva azzerato i rumori.
Il paesaggio era immerso in un innaturale silenzio che l’oscurità rendeva ancora più inquietante.
Solo il singolare chiarore delle stelle gli lasciava intravedere i vecchi pini argentati di fronte.
Respirava ora un’aria dolcissima e calda che gli ricordava i fine settembre di un tempo, quando le estati parevano non finire mai e regalavano meravigliose serate.
Franco non ricordava un cielo così ricco di stelle, e così luminose dalla sua infanzia, quando rimaneva per ore incantato a guardarle.
Si ricordò del black out di New York nel 1977 che aveva causato un sorprendente incremento delle nascite, e si chiese come trascorressero le serate i nostri nonni quando la corrente non era ancora entrata nelle loro case.
Si accese meccanicamente una sigaretta e si abbandonò ai ricordi.
Le sagome dei pini rischiarati dalle stelle gli parvero dissolversi.
Al loro posto scorrevano invece immagini del passato, come in un vecchio film.
Si rivide bambino mentre ascoltava affascinato il nonno raccontargli vecchie storie ricche di umanità. Quasi sempre avventure di emigranti in cerca di fortuna o storie di povere vite consumate all'interno di fatiscenti tuguri condivisi con asini e galline.
Ma quanta solidarietà in tanta miseria!
Raccontava il nonno che tutti lottavano per sopravvivere, s’inventavano i mestieri più umili, s’improvvisavano venditori ambulanti di tutto, raccogliendo persino lo sterco degli animali.
Proprio come fanno tanti giovani extracomunitari oggi, qui da noi.
Pensò Franco.
Rifletteva sulla solidarietà che non c’è più e sui tanti valori soffocati dalla società dei consumi quando la voce di Carmela lo riportò alla realtà.
La cena era pronta. La candela si consumava lentamente, incapace di creare un minimo di atmosfera romantica, rattristandola piuttosto.
Sedettero a tavola rassegnati ad andare subito a letto.
Franco cenò in fretta. Aveva ancora tante cose da dirsi prima che quel disastroso 28 Settembre finisse.
Tornò alla finestra a pensare ai treni fermi, agli ascensori bloccati, alla gente prigioniera nei metrò delle grandi Città, ai semafori accecati, alle strade oscure, alle macchine da caffè ed ai juke-box improvvisamente zittiti.
Si chiedeva come sarebbe stata la vita senza frigo, televisori, computers, telefonini, video-registratori e quei piccoli elettrodomestici che ci rendono più facile la vita, quando funzionano.
Pensava che era diventato impossibile rinunciare a tante finte comodità che affaristi senza scrupoli s’inventano continuamente per renderci prigionieri di una schiavitù nuova e subdolamente perfida.
Ma era anche preoccupato di vivere in una società priva di certezze e così fragile che la banale caduta di un albero in Svizzera poteva gettare nello sconforto, ricacciandola di colpo nel Medioevo.
Pensava a questo quando dalle case vicine un’incredibile gazzarra da stadio lo richiamò alla realtà.
Anche Carmela e Sara vi partecipavano. Lo prendevano in giro gridando in coro il suo nome: “Franco! Ooooh Franco!”.
La luce era finalmente tornata, l’incubo finito. Franco guardò sorridendo le case riempirsi di luci e di suoni. Però nonostante i fastidi a lui quella domenica particolare qualcosa di buono gli aveva regalato.
Come il tempo per fermarsi a riflettere e l’occasione per “riveder le stelle”:
L’indomani sarebbe stato il 29 settembre.
Una data che lo mise di buonumore.
Gli ricordava una canzone della sua gioventù, quando la vita gli appariva spensierata, senza problemi. Una lunga, infinita autostrada lastricata di fiori rosa.
Questo racconto è stato scritto da me il 29 Settembre di alcuni anni fa. A Licata ci fu un black-out di diverse ore. Oltre agli inevitabili disagi, la mancancanza di energia elettrica offrì impensabili spunti di riflessione....