sabato 14 maggio 2011

Il Viaggio


dí Elio Arnone


La vecchia littorina sferragliava pigramente tra gli alti eucalipti e le stoppie bruciate.
    Di tanto in tanto emetteva sibili laceranti che squarciavano 1'aria immobile e rarefatta di quell'afoso pomeriggio d'agosto. Affacciato al finestrino, Giulio guardava attento quella terra spaccata dai raggi impietosi del sole e che pareva invocare una pioggia ristoratrice.
    Il paesaggio era brullo e giallastro come allora, quando aveva percorso in senso inverso quell'itinerario arido per raggiungere, al nord, il suo primo lavoro.
Paesaggio estivo nel centro della Sicilia
    Ricordava ancora la littorina, stipata di bagagli improvvisati, e la folla di viaggiatori accaldati e vocianti che ad ogni sosta scendevano svelti per rinfrescarsi nelle fontanelle di tante piccole stazioni assolate.
    Aveva fatto bene a scegliere il treno per il suo ritorno dopo tanti anni di lontananza. 
    Pensava che fosse il mezzo migliore per tentare di rivivere emozioni lontane. 
     La littorina era quasi vuota. Con lui soltanto un paio di ferrovieri che rientravano dal servizio e quattro extracomunitari silenziosi e con gli occhi attenti ai loro scatoloni pieni di cianfrusaglie.
     Ne era passato di tempo da quel suo primo importante viaggio!
Verso il mitico NORD....
Aveva ventitré anni quando era partito da Licata lasciando soli gli anziani genitori.
Da allora non era più ritornato.
Talvolta lo turbava il pensiero che la sua partenza ne avesse in qualche modo causato la morte, e questo lo rattristava per intere giornate.
    Ricordava con nostalgia soprattutto il padre con il quale in gioventù aveva avuto durissimi battibecchi. 
     Gli rimproverava la lunga milizia nella Democrazia Cristiana - la balena bianca - e il servilismo umiliante nei confronti dei notabili agrigentini.
Antico manifesto 
      Lo accusava di essere solo un opportunista, un egoista privo di qualsiasi convincimento politico.
          Il padre gli rispondeva che forse aveva ragione. Però la sua condotta gli era valsa un posto di lavoro invidiato da tanti, e che era davvero molto in un paese di disoccupati. 
         E che comunque grazie a quel posto lui poteva permettersi di mantenerlo all'Università.
     Nonostante questi impietosi giudizi ed altri piccoli contrasti, Giulio non pensò mai che il padre fosse una cattiva persona.          
     Capiva che se lui continuava a sopportare tante umiliazioni  lo faceva per il suo bene, convinto com'era che quella fosse l'unica strada percorribile in quel paese senza avvenire. 
    In fondo quello era il suo modo per dimostrargli affetto.
    E quella strada che allora aveva imboccata per sistemare se stesso, continuava a percorrere oggi per suo figlio. 
   Ma, anche se il padre fosse riuscito nel suo intento, Giulio non avrebbe mai accettato l'umiliazione di quella soluzione.
      Furono proprio quelle continue discussioni a procurargli un forte senso di ribellione nei confronti del genitore. 
      Forse fu anche per questo che si iscrisse al partito comunista e diventò un'attivista convinto, sempre in prima fila in tutte le manifestazioni di piazza.
       Però più cresceva il suo impegno politico e più si andava deteriorando il rapporto con l'anziano genitore. 
       Al punto che Giulio si decise a dare un taglio a quella situazione.
       Partecipò a tutti i concorsi pubblici di cui veniva a conoscenza, abbandonando persino l'Università per prepararsi meglio. 
         Fino a quando riuscì a vincerne uno alle Poste.
      Quando lo chiamarono ne fu felice. 
      Salì di corsa sul primo treno, quasi timoroso di perdere quell'occasione, per andare a lavorare a Montemignaio, un paesino del Casentino sotto i monti del Pratomagno.
Montemignaio
Incastonato nel verde, quieto e tranquillo, pieno di castagni e faggeti. Dove le stagioni avevano una fisionomia precisa, ed ognuna una bellezza diversa. 
   Ruscelli freschi e gorgoglianti di acque limpide scorrevano tra le case dai tetti rossi. 
    Come diversa la Sicilia che si era appena lasciata alle spalle! 
    Un mondo ideale per iniziare una nuova vita.
    In poco tempo si formò una famiglia e riprese gli studi universitari riuscendo a laurearsi.
    Una nuova serenità e la tranquillità economica e familiare lo avevano piano piano allontanato dalla sua terra, fino a quasi dimenticarla del tutto. 
   Anche con i pochi amici di Licata si sentiva al telefono sempre più raramente, fino al silenzio totale.
   Per la verità gli era capitato di incontrare qualche compaesano quando il Licata, allora in serie B, giocava dalle sue parti. 
   Ma, dopo la partita, tutto era finito lì.
Tifosi del Licata
      Però i tanti successi e la simpatia di quegli impertinenti undici gialloblù lo avevano davvero entusiasmato. 
     Entusiasmo che aveva contagiato anche i suoi nuovi concittadini toscani che conoscevano le sue origini. 
      Al bar Rosario, dove la domenica pomeriggio si riunivano i tifosi per seguire le partite della Fiorentina, la squadra di Licata era argomento di animate discussioni e  Giulio vi partecipava da protagonista. 
      Ogni lunedì, nel suo Ufficio postale perfino i più anziani del paese non mancavano di chiedergli: "Oh icchè gli ha fatto il Lihata?"  Meravigliati e incuriositi da quella squadra tutta siciliana, fatta con pochi soldi ed un desiderio di riscatto percepibile ogni volta che scendevano in campo. 
     Anche tutta questa attenzione aveva contribuito a risvegliare in lui un orgoglio licatese sopito da tempo.
Mister Zeman
 Ma, come tutte le più belle favole, anche la favola bella dell'indimenticabile   squadra di Zeman, finì presto .
 E quell'esile filo che per un po' l'aveva spiritualmente riavvicinato alla sua terra, piano piano venne meno.
        Tutto tornò come prima e Licata abbandonò  nuovamente i ricordi di Giulio. 
     Fino a quando quell'esile filo improvvisamente si riannodò, ed anche con maggior vigore. 
     La cosa avvenne in modo casuale. 
     Navigando su internet aveva scoperto il sito "www.lavedettaonline.it", e vi si era soffermato incuriosito. 
     Fu meravigliato di trovarci tante notizie su Licata, tante fotografie, a colori ed in bianco e nero dei luoghi della sua gioventù, curiosità storiche, racconti, antiche stampe e nomi di persone conosciute che ricordava o di cui aveva sentito parlare.
     Da allora, la sera, quando poteva, si collegava per leggerne  le novità, soddisfare la sua curiosità e la voglia di giocare con la  memoria.
     Passava così alcune ore, ed ogni volta che spegneva il computer per andare a dormire, provava sempre più forte una grande  malinconia. 
     Sentiva crescere in lui sempre più forte il richiamo della sua terra. 
     Tanto che in testa gli era cominciata a frullare l'idea che forse sarebbe stato bello tornarci a vivere, magari una volta in pensione.
     Poco a poco una nostalgia sempre più viva e un desiderio sempre più irresistibile lo convinsero che era arrivato il tempo di partire, di provare a riannodare quel filo traumaticamente spezzato. 
     Ed ora era lì, affacciato al finestrino, a ripercorrere la sua storia su quel treno che, lento, andava verso il suo passato. 
     Il viaggio fu davvero interminabile ma anche ricco di vecchie emozioni.
     Riattraversare lo Stretto, ripetendo il rito delle arancine da mangiare sul ponte del ferry-boat,  mentre si avvicinava alla Sicilia, lo commosse non poco. 
    Ed anche attraversare con il treno l'interno dell'isola era davvero affascinante. 
    Per tutto il viaggio non tolse mai lo sguardo da quelle campagne dimenticate, da quelle terre crepate dai raggi di un sole impietoso. 
   Respirava quell'aria rarefatta come un assetato che finalmente può placare la sua sete. 
    Voleva vivere intensamente quella sua ricerca dei luoghi della memoria da tempo perduti.
     Giulio capì che era arrivato quando, in lontananza, gli apparve sulla collina la macchia verde dei vigneti dell'antica fattoria dei Quignones.
      La littorina si fermò stridendo nella stazione deserta.
Stazione di Licata  di G. Nogara

Il capotreno aprì le porte, fece scendere i pochi viaggiatori ed ordinò al macchinista di ripartire. Giulio restò un attimo fermo con la valigia a fianco. Non c'era nessuno.
Neanche un ferroviere. 
Le porte degli uffici e le finestre erano tutte desolatamente chiuse.
       Anche quella dell'ufficio del Capostazione, che lui ricordava uscire impettito con il suo bel berretto rosso in testa, il fischietto in bocca, e la paletta verde alzata per ordinare la partenza ai treni.  
        Che tristezza!
         Eppure nei suoi ricordi quel luogo era stato sempre pieno di vita, affollato di viaggiatori in attesa di treni che andavano al Nord... Allora, ad ogni arrivo, c'era la corsa frenetica per salire sui treni.
"Emigranti" del Pittore licatese Gino Leto.
        Il tempo della fermata era poco. 
        Occorreva fare presto. 
        Viaggiatori vocianti  si muovevano freneticamente con i bagagli in mano spingendosi l'un l'altro alla ricerca di un posto. 
         Quando finalmente le porte delle littorine si chiudevano, partivano lentamente, emettendo fischi che sembravano lamenti. 
         A Giulio tornarono in mente le lagrime di chi restava.      
 I familiari e gli amici più cari che, dal marciapiede della stazione sventolando fazzoletti bianchi, salutavano  fin quando il treno spariva dietro la curva.
     Ora la stazione gli appariva morta.
     Con il cellulare telefonò all'albergo "Al Faro", vicino al porto.
      Una macchina venne a prenderlo poco dopo. 
      Sbrigate le formalità, salì in camera sua, fece la doccia, si sdraiò sul letto e chiamò al telefono Enzo, un suo vecchio, caro compagno.
      Poco dopo si incontrarono. 
      Ebbero un attimo di esitazione per un reciproco e divertito controllo dei danni da invecchiamento causati dal tempo, poi si abbracciarono e decisero di cenare insieme.
      Si sedettero ad un tavolo del ristorante dell'albergo. 
      Un cameriere premuroso prese le ordinazioni. 
       Ne avevano di cose da raccontarsi dopo tanti anni di lontananza!
    Giulio chiese subito dei vecchi compagni di scuola.
   Apprese così che Giuseppe, Ninni ed Angelo purtroppo non c'erano più, tutti portati via giovanissimi da mali incurabili. 
   Dopo un'attimo di smarrimento, chiese degli altri.
   Seppe così che Lillo era preside nel Veneto e che lui invece era stato fortunato a rimanere a Licata, riuscendo anche a fare   una buona carriera. 
   Ed anche Piero, apprezzato funzionario della Soprintendenza si era sistemato ad Agrigento, mentre Giovanni, il dottore, era diventato un apprezzato dirigente dell'Asl di Agrigento. 
   Molti invece erano partiti, comunque distinguendosi nelle loro attività. Come Michele, preside a Vicenza, Francesco, docente all'Università, o Ida, apprezzata giornalista del telegiornale.
  Di altri non aveva più notizie.
  Enzo gli spiegò che non era cambiato molto dalla sua partenza e che ancora oggi la Città non sapeva offrire opportunità ai suoi giovani, costringendoli a cercarle fuori.
  Fortunatamente alcuni scappando da Licata erano riusciti a realizzare altrove le loro aspirazioni. 
   Però questa  fuga di intelligenze aveva reso il paese culturalmente sempre più povero, privandolo di una classe dirigente idonea a promuoverne qualsiasi possibile sviluppo.
   Enzo parlava volentieri. 
   Anche per lui quella era una buona occasione per scavare nella memoria ricordi che già riteneva sepolti dal tempo. 
Preparazione dell'ultima festa della matricola
    Sorrisero insieme ripensando alla festa della matricola del 1969, con i carri allegorici e lo spettacolo finale in un cinema Corallo gremito fino all'inverosimile.
    Quanto si erano divertiti vestiti con gli sgargianti costumi da ballerine noleggiati al Massimo di Palermo per l'occasione, con le gambe pelose e le barbe incolte, a ballare il can can più strampalato ed esilarante mai visto!
    E le giornate al Circolo goliardico, a spettegolare o leggere e chiosare i giornali. 
   E le lunghe estati a Mollarella. 
Baia di Mollarella a Licata
    Giocavano per ore a pallone sull'arenile rovente. 
    Poi, sudati, si tuffavano in quello specchio di mare limpido e rotondo. Poi pigramente si lasciavano asciugare al sole. 
    Distesi sulla sabbia dorata guardavano di sottecchi le ragazze in bikini passeggiare ancheggiando lungo la battigia.
    Alla sera, pigiati come sardine dentro la sgangherata cinquecento di turno, concludevano quelle giornate spensierate andando a sentire i cantanti e a ballare a Falconara o a Torre di Gaffe.
   La cena a base di pesce era stata ottima, così come la serata. Entrambi erano felici per quei tuffi nel passato. 
  Giulio però cominciava ad accusare la stanchezza del viaggio. 
   Ordinò due caffè e si scusò con Enzo, ringraziandolo per la bella serata e dicendogli che si sarebbero potuti vedere 1'indomani. 
   Enzo annuì e, aspettando il caffè, accennò alla politica locale. 
   Si doleva dell'indifferenza dei suoi concittadini. 
   Non avevano più fiducia nei politici, né nei partiti, di qualsiasi colore. 
    Rimproverava i pochi intellettuali impegnati che volontariamente si erano messi da parte abbandonando il paese nelle mani di amministratori improvvisati e privi di esperienza.
     Il cameriere portò i caffè. 
    Enzo e Giulio li bevvero velocemente e si salutarono
stringendosi la mano.
    Giulio dormì profondamente tutta la notte. 
    Alle nove del mattino Enzo lo svegliò.
Bar Azzurro


     Fecero colazione al Bar Azzurro, con granita di limone e brioches, come ai bei tempi, poi salirono in macchina. 
     La prima tappa fu il vecchio cimitero dei Cappuccini, dove Giulio sistemò dei fiori sulla tomba dei genitori. 


     Poi s'infilarono nel traffico urbano.


     Giulio si preoccupò subito per la guida disinvolta degli automobilisti e dei tanti giovani senza casco che zigzagavano con i motorini fra le macchine in movimento. 
      Enzo lo tranquillizzò dicendo che era abituato a quel caos.
La fila per la pensione....
     Passarono davanti alla posta di piazza Linares e Giulio notò un assembramento che lo incuriosì. 
     Erano persone in fila, sotto il sole cocente e che gli uffici non riuscivano a contenere. 
     C'erano gli anziani per riscuotere le pensioni ed i giovani l'indennità di disoccupazione. 
      Giulio ascoltava perplesso, mentre Enzo continuava a guidare e ad aggiornarlo su tutto. 
      Continuò con le sue spiegazioni denunciando un preoccupante aumento della microcriminalità, ed elencò minuziosamente una serie impressionante di scippi, furti nelle abitazioni, danneggiamenti e auto bruciate. 
      E perfino intimidazioni ad un parroco e ad un carabiniere.    Insomma, la città sembrava essere diventata invivibile secondo Enzo, che si chiedeva se le forze di polizia avessero davvero ancora il controllo del territorio.
     Certo, l'osservanza delle regole non era mai stata una virtù per molti dei loro concittadini, ed era cosa risaputa che il bisogno spingesse tanti ad arrangiarsi per non pagare i ticket sanitari o per ottenere sussidi, indennità o pensioni cui non avevano diritto.    Con la complicità interessata della politica che li "aiutava" nelle svariate illegalità per ottenere in cambio consenso elettorale.
    Ma ora si stava veramente esagerando. 
    Enzo gli confidò che se non fosse stato per alcuni affetti, anche lui sarebbe andato altrove a cercare un avvenire per i suoi figli. 
    Ma forse gli era mancato il coraggio.
    Giulio continuava ad ascoltare in silenzio.
    Girarono con la macchina tutto il territorio comunale, dalla Plaia a Torre di Gaffe, ed anche le periferie, polverose e prive di servizi. 
    Spesso piene di case mai rifinite e che forse mai sarebbero state abitate. 
    Costruite in fretta senza autorizzazioni con le rimesse ed i sacrifici di tanti emigrati.
Casa abusiva

Quante case nuove avevano visto! Migliaia, forse. 
E quasi tutte desolatamente vuote, senza vita. ..
     E quanto antiestetico ed inutile cemento deturpava l'intera costa ricca di cale e calette d'impareggiabile bellezza! 
      Vere meraviglia di una natura generosa, che non aveva certo lesinato bellezze a quella che sarebbe dovuta rimanere una costa incontaminata! 
      Giulio continuava ad osservare perplesso la campagna, una volta aperta all'aria ed al sole, e vedeva soltanto  smisurati tappeti di plastica trasparente.
Serre a Licata
No, non erano quelli i luoghi della sua gioventù.
Riflettè sul suo stile di vita così diverso da quello riscontrato nella sua Città natale. 
Capì che non ce l'avrebbe mai fatta a riambientarsi in quella città che non aveva saputo crescere e che forse mai ci sarebbe riuscita. 
     Attristato si rivolse ad Enzo, improvvisamente.
     Gli chiese di riaccompagnarlo in albergo. 
     Enzo capì. 
     Non apparve affatto meravigliato della sua richiesta.
     Davanti all'albergo fu particolarmente affettuoso con Giulio, forse presagendo che non l'avrebbe mai più rivisto. 
     Giulio salì in camera sua, preparò i bagagli e telefonò ad un taxi. 
     Questa volta avrebbe reciso definitivamente il cordone ombelicale con la sua terra. 
    La sua vita era ormai in quel paesino piccolo ed ordinato, immerso nel verde. 
     In quella piccola Svizzera in cui erano cresciuti i suoi figli, che lì avevano imparato a parlare e lì avevano studiato. Casentinesi tra i Casentinesi, lì avrebbero trovato il loro futuro. 
A Catania un aereo lo aspettava. 
Partiva.
Per non tornare più.



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Grazie per essere stati con me....
Elio Arnone

1 commento:

  1. Oggi, 15 Maggio 2011, ho ricevuto tramite mail un commento da un concittadino licatese che risiede da tempo lontano dalla nostra città.
    Ve lo ripropongo, anche con la mia risposta: "Caro Sig. Arnone,
    ho provato anche io a ritornare e sono ripartito.
    Sono rimasto a Licata solo per poco e pochi mesi sono bastati a farmi capire che è cambiato poco, anzi, quel poco che è cambiato è diventato peggio.
    Ho visto santoni e custodi di verità, ho visto ignoranza, invidia, frustrazione, stupidità, avidità, infantile arroganza.
    Ho visto pastori senza scrupoli guidare branchi di pecore, e ho visto la loro merda per le strade e ho visto persone trattate come merci da mercanti di menzogne.
    Sig. Arnone, io non so perché succede tutto questo, ormai ho rinunciato a capirlo, io non la conosco personalmente, ma so chi è; se ha dei figli, o dei nipoti, li faccia andare via, perché il degrado è come la peste e dove c'è la peste ci sono i topi, e se ci sono i topi si fa presto a ritrovarsi a vivere in un lazzaretto.
    Il suo racconto mi ha commosso e la prego, se ne avrà l'occasione, parli anche della mia storia, come ha fatto per la storia del personaggio del suo racconto, perché mi creda, e so che lo sa, siamo davvero in tanti gli appestati che sono costretti ad andare via.
    Grazie.
    Firmato:
    Filippo Corvitto
    Ecco la mia risposta:
    "Caro Filppo, ho letto la sua mail e ne sono rimasto colpito.
    La sua amarezza traspare da ogni parola che scrive.
    Il suo è uno sfogo meditato, sincero, vero. Il mio Giulio è un po' frutto della mia fantasia, un espediente per parlare dei difetti più evidenti della mia città, che, nonostante tutto, continuo ad amare.
    Lei è come il mio Giulio, frustrato dalla delusione di non aver trovato quei cambiamenti in meglio che era lecito attendersi da parte di tutti.
    Le sue osservazioni inducono alla riflessione e penso che sarà d'accordo se le pubblicherò su Facebook.
    Grazie davvero. Elio.

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